Un labirinto di parole in cui ritrovare noi stessi
È il nome della cosa che pensiamo che crea la memoria di quella cosa. Non si può pensare una cosa che non ha un nome, non si può ricordare un cosa che non ha un nome. “I pensieri non possono andare dove le strade del linguaggio non sono state costruite” (Terence McKenna).
Nominando una cosa creiamo lo spazio e il tempo entro cui possiamo ricordare quella cosa. Se dico “la casa in cui sono cresciuto” avrò bisogno del nome “casa” per creare un ricordo, e del tempo in cui sono cresciuto per ricordare quella casa. E ovviamente dovrò collocare la casa dentro uno spazio (mentale ed esterno) definito. Questo per dire che le più intime memorie di noi stessi sono fatte di linguaggio, e che le parole con cui esprimiamo quel linguaggio interiore fanno la qualità delle nostre memorie, e in definitiva della nostra mente, della nostra coscienza che è lo spazio interiore della riflessione.
Ciò ha fondamentale importanza nella malattia e nella cura. È possibile che la relazione stretta fra corpo e mente porti ad affermare che se la mente, la coscienza, può elaborare un linguaggio interiore fatto di parole che curano allora anche il corpo sarà curato? E che, diversamente, se il linguaggio interiore sarà fatto di parole che ammalano allora anche il corpo sarà malato? Parole che invecchiano fanno invecchiare il corpo?
Non possiamo pensare per astrazioni, dobbiamo coinvolgere la memoria di una cosa specifica - di un vecchio, ad esempio, per pensare alla vecchiaia. Forse la memoria di un vecchio parente: un nonno, una nonna, o un nostro genitore in età avanzata. La memoria si presenterà con una certa quantità annessa di spazio e tempo, necessaria al pensiero affinché la mente possa pensare alla vecchiaia. E utilizzerà il linguaggio, avrà bisogno di parole per pensare, parole legate alla vecchiaia, parole che invecchiano chi le pensa. Ora si potrà obiettare che si invecchia ugualmente, anche se non si pensa alla vecchiaia. Ma è veramente così? Certo a livello del corpo fisico andremo incontro al necessario processo di invecchiamento, ma a livello mentale manterremo una freschezza che non sentirà il peso del tempo. E se un giorno dovremo andarcene, lo faremo elegantemente. Con un’eleganza fuori dal tempo!
“L’Elisir di Lunga Vita è un vocabolario di buone parole che diciamo a noi stessi. L’immortalità dell’anima vissuta nel presente - giorno per giorno - sta nel riconoscersi anime immortali.”
E poi considerate la ricaduta sociale del pensare con parole che invecchiano: rende pesanti e tristi. Isola la persona in un’aura di potenziale depressione che tiene lontani gli altri. Vecchiaia e malattia, decadenza e morte… solo a nominare questi stati dell’esistenza si devono evocare nello spazio dell’introspezione immagini adatte al pensiero affinché - mediante le parole - una realtà interiore possa emergere. Quella realtà interiore possederà una certa energia, energia che sarà espressa esternamente mediante il linguaggio, ed è per questo che dovremmo essere attenti nell’utilizzo della parole che usiamo per pensare. Poiché assieme alle parole emettiamo pacchetti di energia il cui primo bersaglio siamo noi. Sono parole nostre, nutrono la nostra esistenza interiore, la nostra coscienza è fatte di quelle parole. Lo spazio e il tempo delle parole mima lo spazio e il tempo che viviamo interiormente e che siamo destinati a esperire nel mondo esterno, per analogia, per simpatia. È l’effetto magico dell’attirare cose simili ai nostri pensieri.
Per questo motivo se desideriamo prevenire la malattia, o guarire da una malattia, possiamo intraprendere un percorso interiore di scelta calibrata rispetto alle parole che utilizziamo per pensare. Siamo chiamati a costruire interiormente lo spazio e il tempo della guarigione, la cornice necessaria entro cui si muoveranno cose guarite o mantenute in buona salute: il nostro corpo, la nostra mente. L’Elisir di Lunga Vita è un vocabolario di buone parole che diciamo a noi stessi. L’immortalità dell’anima vissuta nel presente - giorno per giorno - sta nel riconoscersi anime immortali. È l’antidoto per eccellenza ai veleni di linguaggi distruttivi che ammorbano corpo e mente. La gentilezza che mostriamo verso le nostre vite - mediante parole scelte con cura e ripetute nello spazio interiore dell’introspezione luminosa - è la medicina più potente. Si può nascere e si può morire in numerosi modi, ma il nascere nell’istante alla bellezza che si esprime mediante parole belle, eleganti e lucenti, e il morire nell’istante alle tensioni egoiche che minacciano il linguaggio di bellezza, eleganza e lucentezza, è il solo modo che conosco per trasformare la pesantezza in leggerezza, la sofferenza ripetitiva della ferita nella nuova poesia dell’illuminazione.