Scacco (matto?) ai pensieri in tre mosse meditative
1) UTILIZZARE I PENSIERI: Uno dei principali problemi che si incontrano in meditazione è quello dei pensieri. Spesso si desiste dal meditare poiché nell’immobilità posturale e nel silenzio dei sensi, la mente tende a produrre onde di pensiero che possono risultare disturbanti. Una soluzione al problema consiste nel verificare la postura di meditazione e il supporto che utilizziamo: possiamo sedere a gambe incociate, a terra, sul cuscino di meditazione; oppure su un panchetto o anche su una sedia. L’obiettivo è quello di eliminare ogni fatica eccessiva o dolore fisico che trasformerebbe la meditazione in una esperienza sgradevole. Un altro intervento consiste nel verificare il modo in cui respiriamo. Se siamo in grado di respirare diaframmaticamente e senza sforzo (a volte gli insegnanti di meditazione invitano a “respirare con l’addome”) ne conseguirà un equilibrio del sistema nervoso favorevole al processo di meditazione. Operando in questo modo, lungo tempi via via più consistenti di pratica, il problema dei pensieri sarà risolto. Ancora meglio: verrà trasformato in una ulteriore possibilità di pratica. Poiché la mente, da nemica che era, può divenire un’amica: i pensieri rappresentano infatti cartelli segnaletici che indicano la via per giungere alla mente. E potreste pensare alla mente come origine di ogni guaio, o pensare alla mente come origine di ogni cosa. Se pensate alla mente come origine di ogni guaio, state pensando alla mente sensoriale, orientata - spesso in modo caotico - verso l’esterno. Se pensate alla mente come origine di ogni cosa, allora vi riferite a una potenzialità più vasta, un buddhista definirebbe questa mente come “luminosa e vuota”; un cultore della filosofia sāṅkhya-yoga indicherebbe questa mente come “buddhi” (intelletto, intuizione, discernimento) connessa all’esperienza di gioia e beatitudine (ānanda). Potreste quindi pensare alla mente come a un continuum che comprende l’attività sensoriale estrovertita e il potere di illuminazione introvertito. Coltivando questa visione, meditando su questi presupposti, allora sarà possibile utilizzare i pensieri per fare esperienza del ritorno ogni volta alla mente “luminosa e vuota” e dimorare in essa. In sostanza tracciamo il percorso di ogni singolo pensiero a ritroso, fino alla sua origine. Osservando il pensiero potremmo ripetere a noi stessi, come un mantra: “Dalla mente sorge, entro la mente si reimmerge”. Procedendo così riconosciamo l’identità di mente e pensieri e veniamo ispirati dal Sutra del Cuore in cui il Buddha afferma l’identità di vuoto e forma. Allora non rifuggiamo dai pensieri come da una sventura, ma integriamo in senso non-dualista i diversi aspetti della mente.
2) CONSIDERARE I PENSIERI: Sappiamo per esperienza che il cervello non conosce la differenza fra un pensiero e la realtà: se pensiamo intensamente alla possibilità di incontrare una tigre siberiana - immaginiamo una poderosa bestia alta un metro e lunga tre, pesante oltre 300 chili e nervosamente affamata - allora il nostro corpo emetterà neurotrasmettitori e ormoni legati allo stress e all’emozione della paura. Le mutazioni fisiologiche a cui l’organismo va incontro sono in relazione al pensiero, come se quel pensiero descrivesse un evento reale. Immaginare determinate situazioni in cui avvertiamo una minaccia o temiamo un epilogo doloroso equivale, come assetto cerebrale, a fare l’esperienza reale di quella situazione. Per converso se desideriamo ottenere un certo risultato materiale, allora inviteremo la mente a produrre l'immagine di quel risultato già ottenuto, come già realizzato: a questa realizzazione immaginata si accompagnerà l’emissione di neuro-trasmettitori e ormoni connessi allo stato di soddisfazione, di emozioni positive (specialmente la gratitudine) che genereranno un ulteriore pensiero rafforzato e orientato verso il risultato desiderato. Si produce quindi un effetto a livello neurofisiologico di modo che ci si possa predisporre all'avvento sul piano materiale di una nuova realtà che è in linea con quel pensiero. Nelle tradizioni spirituali si utilizzano meditazioni specifiche per generare pensieri che sono coerenti con l’identificazione verso una particolare divinità personale (iṣṭa devatā). Immaginare la divinità nel più minuto dettaglio equivale a divenire quella divinità. Per questa via si opera una trasmutazione personale a immagine del trascendente nella forma prescelta che di nuovo si basa sull’incapacità del cervello di discriminare fra pensiero ed eventi collocati nella realtà materiale.
3) PENSIERI CONCLUSIVI: Qui si apre un dibattito e siamo di fronte a un dilemma: potremmo utilizzare la creatività mentale, il potere di visione interiore, per fini connessi alla vita spirituale, smantellando ogni pensiero che emerge per riconoscerlo come tale. Potremmo dire a noi stessi, come ripetendo un mantra: “Il pensiero emerge dalla mente, il pensiero si reimmerge nella mente”. Ovverosia: dalla vasta luminosità della mente emerge la formazione del pensiero, nella vasta luminosità della mente si reimmerge la formazione del pensiero, riconoscendo per questa via la fondamentale identità di forma e vuoto, di saṃsara e nirvāṇa secondo l’intuizione delle scuole buddhiste non-duali. Potremmo anche utilizzare il potere della mente per un ottenimento legato alla mondo materiale (una nuova casa, un nuovo lavoro, un determinato incontro) ma sempre tenendo a bada le emozioni negative come avidità, invidia e rabbia che non devono “inquinare” le operazioni eseguite a livello del corpo sottile. Si realizzerebbe così un utilizzo consapevole del potere di determinazione che costituisce quanto meno un progresso rispetto alla confusione in cui si dibattono ordinariamente i pensieri, quello stato mentale caotico che sfocia in risultati contraddittori e controproducenti e genera poi lamentele infinite, autocommiserazioni e fastidi vari. Procedendo verso una più piena conoscenza di sé potrebbe svilupparsi nel tempo il desiderio di ottenimenti superiori e di generare stabilmente emozioni positive come amore e compassione. A quel punto della nostra evoluzione personale saremmo in grado di utilizzare il potere della mente per evolvere verso lo stadio del sentire noi stessi nel profondo di una umanità condivisa con i nostri simili. Potremmo operare il trascendimento del limite imposto dalle condizioni materiali di esistenza ciclica per giungere a una pacificata unione con l’intera natura e con la sua continua manifestazione vitale. Tutte le possibilità sono di fronte a noi: possiamo decidere quale rotta prendere e verso quale direzione orientare la velatura del nostro destino.