Dormire secondo lo yoga (da svegli)
La pratica dello yoga diviene più significativa e profonda grazie a un particolare aspetto della disciplina che spesso si prende per un’altra cosa: lo yoganidrā, un oggetto esotico e misterioso che viene equivocato per rilassamento “yoghico” o “profondo”. Ma per quanto yoghico e profondo possa essere, il solo rilassamento non giunge mai al livello di conoscenza che porta in dote lo yoganidrā. Il rilassamento, nei sistemi yoga che lo utilizzano sapientemente, più che essere un fine, è un mezzo che porta alla definizione completa dell’esperienza.
Lo yoganidrā non è quindi un esercizio di rilassamento, e non lo si può ridurre a una sola fase di preparazione nel processo che conduce alla meditazione formale in posizione seduta: lo yoganidrā è uno stato particolare di coscienza in cui è possibile stabilire una relazione con i mondi invisibili e in tal modo ottenere aiuto, indirizzamento, ispirazione. Si tratta quindi di una forma di profonda meditazione, se per meditazione intendiamo quell’attività volta a stabilire un dialogo con la realtà trascendente situata oltre il sistema terrestre di spazio, tempo e materia.
Il termine yoganidrā è presente in diversi testi tantrici buddhisti e shivaiti relativi alla meditazione. Viene talora descritto come una “pace oltre le parole” o come l’esperienza mediante la quale i Buddha perfetti realizzano la conoscenza segreta. In un commento a un tantra buddhista si afferma che lo yoganidrā è come il sonno, assolutamente privo di distrazioni, e le parole sembrano alludere a uno stato mediano fra yoga (azione che suscita conoscenza) e sonno (passività, immobilità). Una delle possibile traduzione del termine yoganidrā è in effetti “il sonno che è lo yoga”.
“Il termine yoganidrā è presente in diversi testi tantrici buddhisti e shivaiti relativi alla meditazione. Viene talora descritto come una “pace oltre le parole” o come l’esperienza mediante la quale i Buddha perfetti realizzano la conoscenza segreta.”
Come si ottiene questa forma particolare di yoga? Immobilizzando il corpo fisico mediante tecniche di rilassamento (eseguite il più delle volte, ma non sempre, in posizione supina) e divenendo successivamente consapevoli del corpo energetico che emerge pulsando dall’immobilità del corpo fisico. Da ultimo si fa esperienza di un corpo di stabile presenza, di pura testimonianza - il corpo causale - che osserva il corpo fisico immobile, il corpo energetico vibrante, e se stesso attraverso un atto di incondizionata autocoscienza.
Al fondo di questa esperienza singolare che suscita sempre stupore in chi la compie si profila quindi la necessità di immobilizzare il corpo, pietrificarlo quasi. Ma senza perdere coscienza dell’atto, al contrario, gustando lucidamente il prodotto di un perfetto radicamento nel silenzio del corpo fisico: si è profondamente addormentati, immobili, e a un tempo pienamente svegli. E tornano alla memoria certe definizioni del sapiente che incontriamo nella metafisica indiana: colui/colei che può rivestirsi di una “stabile saggezza”. Lo stesso atto meditativo nella classica posizione seduta consiste per queste scuole in una fermezza inamovibile entro cui si sperimentano le fluttuazioni del corpo energetico, guidate poi in modo coerente all’interno del sistema energetico costituito da chakra e nāḍī, i vortici di energia e i “canali" di scorrimento del prāṅa.
Poiché è proprio attraverso l’immobilità fisica che può manifestarsi la parte più preziosa di noi. Attraverso il silenzio, che è la lingua segreta dell’anima, si può comunicare con i piani elevati dove lo spirito attende la completa trasformazione della vicenda umana. Seguendo le piste dei maestri, di coloro che ci hanno preceduto, e realizzando l’insegnamento perenne di una filosofia che non conosce né spazio, né tempo, ma solo eterna ed infinita coscienza, possiamo trascendere il corpo fisico, l’energia che lo rende vivo alla materia e ritrovare il sentiero che conduce alla dimensione spirituale. E infine comprendere il motivo per il quale siamo tornati qui: la nostra missione. E nelle nostre notti, nei nostri silenzi e nelle nostre immobilità, possiamo riscoprire l’origine del giorno, il bagliore improvviso che scaturì in una nuova vita. E riassorbire tutte le vite - e comprenderle tutte - e realizzare l’importanza che hanno posseduto nella costruzione della saggezza e nel dipanare il cammino verso il ritorno al cielo vuoto e splendente del primo istante.